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Aprire la porta

Aprire la porta

Il problema che abbiamo con questi bambini è che li devi “lasciar entrare”, non li puoi semplicemente tenere sull’uscio, sul limite, in una situazione intermedia. Con loro non è possibile un “purgatorio relazionale”. O dentro o fuori. O inferno o paradiso. O li lasci entrare e li porti con te, dentro di te, o li lasci vagare nel loro polveroso grigio esistenziale dove li puoi confondere tra gli eventi casuali e inevitabili della vita. Eppure quanta beatitudine c’è nel far tacere quella paura dell’incontro e mostrare dietro la porta della nostra indifferenza “un volto accogliente e delle mani pronte, dei piedi lesti e un cuore aperto”. La beatitudine che provi quando in te non vince la paura della fatica di stare con loro che serra il tuo cuore in uno morsa stringente. La beatitudine di vivere la semplicità dell’incontro e della quotidiana condivisione della vita. La beatitudine di chi con il cuore aperto riesce a vedere ogni cosa più vera, più grande, più bella. Lasciarli entrare nella tua vita ti permette di vederne la bellezza. Non puoi aspettare di vederli belli prima di lasciarli entrare. La beatitudine viene dall’accogliere la loro polverosa e macilenta esistenza per poi scoprirne la luce che la abita, il volto luminoso che in essa è celato.

Una delle loro caratteristiche è quella di mantenere sempre attive le loro antenne vulnerabili in modo da essere in grado di reagire sia agli stimoli di pericolo, ma, e forse soprattutto, a quelli che offrono speranza e opportunità. Saper leggere nello sguardo di una persona che incrocia il tuo la possibilità di un aiuto o il rifiuto infastidito è un’arte che è importante apprendere quando vivi sulla strada. Saper sentire un cuore capace di sintonizzarsi con te o un cuore che si chiude e si ritira, in certi casi è di vitale importanza. Leggere negli occhi di chi incontri gli indizi di un sguardo amichevole e disponibile invece di uno indifferente che ti fa sentire trasparente, in certi casi è questione di guadagnare una giornata o di perderla. Per questo loro sono dei perlustratori di volti, degli affamati di sguardi, dei traduttori dei sentimenti che inconsapevolmente trasmettiamo vedendoli. Conoscono tutte le sfumature del corrugarsi di una fronte, dell’arricciarsi delle labbra, del socchiudersi degli occhi.

Passando un po’ di tempo con loro non saprei dire se in loro vi sia paura. Ciò di cui sono certo è che in loro non c’è il desiderio, così comune tra noi, di voler controllare tutto. Questa rinuncia al controllo non può non ridurre il tasso di paura delle loro vite in quanto la maggior parte della paura che ci abita è quella che viene dalla paura di perdere il controllo delle situazioni e di conseguenza della nostra vite. Se già in partenza sai che non puoi avere il controllo di ciò che ti accade, le tue angosce evaporeranno come goccioline d’acqua al sole. Incontrare la loro mancanza di paura ci fa capire che i ciechi a cui aprire gli occhi, siamo noi; i lebbrosi che devono essere mondati, siamo noi; che i morti che devono ritrovare la vita, siamo noi; che i prigionieri che devono riconquistare la libertà, siamo noi. Ma un timore profondo e difficile da sradicare abita il loro cuore: quello di essere umiliati, che per loro non ci sia giustizia, che per loro sia sempre possibile l’offesa ingiustificata e impunita, che a nessuno interessi il male che sentono. Allora il loro cuore è turbato e sul loro volto si disegna una smorfia indecifrabile e lo sguardo si fa duro e gli viene la voglia di fuggire.

Le ultime righe le avevo scritte questa notte e questa mattina presto si è presentato alla nostra porta José uno dei ragazzini che seguiamo. Spaventato. All’una di notte la polizia del governatorato era passata nei luoghi dove i ragazzini dormono e li aveva caricati a forza sui cellulari e trasportati in un presunto Centro di accoglienza nel quale loro non vogliono stare a causa, secondo la loro versione, delle condizioni di vita (cibo scarso solo una volta al giorno, nessun suppellettile o coperta, nessun materiale igienico, ecc.) e degli abusi e maltrattamenti che subiscono, gratuiti e sempre impuniti. Le ore di questa mattina le passerò a capire dove si trovi questo Centro e valutare la possibilità di far loro visita. I loro timori si sono trasformati in un incubo realissimo.

Verso le nove si sono presentati sorridenti dicendo che erano fuggiti alla polizia. E la vita continua.