Angeli con le ali spezzate
di fratel Carlo Toninello

Era già mattino inoltrato. Il sole ardeva, terminando di seccare le poche pozzanghere che le ultime piogge dei giorni scorsi avevano lasciato. Le macchine passavano rumorose alzando nuvole di polvere. Alcune donne si affrettavano, con i bambini legati dietro alla schiena e le ceste caricate sulla testa, a raggiungere i loro posti di vendita sulla strada. Dei ragazzi, già tutti sudati e con la maglietta legata attorno alla testa, si guadagnavano la giornata scaricando, a mani nude, un camion pieno di sabbia. Davanti alla caserma attendeva una piccola folla di giovani, col vestito della festa, per tentare di essere arruolati nell’esercito. Gruppi di studenti, in camice bianco, ciondolavano svogliatamente verso la scuola mentre passavano a fianco di due uomini e una donna chini sopra un cassonetto dell’immondizia nella speranza di essere i primi a mettere le mani su qualche indefinito resto di cibo o su qualche prezioso materiale da poter riciclare.
Ti vidi dall’altra parte della strada. Steso sul marciapiede, con le spalle addossate al muricciolo, la cassetta da lustrascarpe a farti da cuscino, il cappuccio della felpa scura tirata fin sugli occhi, le mani sul petto, i jeans scuri impolverati.
All’inizio volevo svegliarti per rimproverarti: quella felpa e quei jeans te li avevo dati puliti il giorno prima e ora tu, incurante del mio dono, me li stavi insozzando in mezzo alla polvere. Mi sentivo offeso nel mio orgoglio di benefattore… Ti guardai più da vicino cercando gli indizi che ti avrebbero reso ancor più colpevole ai miei occhi. Ma tu dormivi incurante del rumore delle auto e dei camion che passavano, senza preoccuparti degli sguardi pieni di disprezzo che si posavano su di te. Dormivi, indifferente alla mia ricerca delle prove dei miei preconcetti: “Si sarà ubriacato ieri sera”. Vidi che gli occhi sotto le palpebre si muovevano velocemente. Sognavi. “Ma come”, pensai, “steso sul marciapiede, in mezzo alla polvere, si può ancora sognare? E che cosa si sogna dormendo all’addiaccio, respirando la polvere alzata da passanti indifferenti? Che cosa sogna chi si è addormentato stanco del lungo camminare del giorno, con la fame di chi non ha guadagnato abbastanza neppure per un piatto di pasta scondita? Come sogna chi s’addormenta senza un abbraccio, senza nessuno che ti appoggia una mano sulla spalla e gli dà la buona notte? Chi non piange perché nessuno se ne accorge? Chi s’addormenta senza sapere a chi chiedere aiuto? Chi non sa dare una risposta alla sua solitudine e non sa se qualcuno lo vuole? Cosa può sognare chi è visto come un corpo che non conta per nessuno?”. Non lo sapevo, non lo avrei mai saputo. Mi sentii una nullità di fronte al tuo sognare. Compresi che siamo capaci di amare solo le persone di cui conosciamo i sogni. Se neppure riuscivo immaginare quali fossero i tuoi sogni, come potevo pensare di poterti amare? Come potevo vantarmi di volerti bene? Come potevo dirti che tu eri importante per me?
Rimasi a guardarti in silenzio. Pensai ai molti sogni banali che io avrei potuto sognare se fossi stato nei tuoi panni, ma poi improvvisamente compresi: solo se ti avessi riconosciuto per quello che sei veramente, avrei saputo quali erano i tuoi sogni e avrei cominciato a volerti bene per davvero. Mi resi conto che tu eri come un angelo dalle ali spezzate, caduto qui chissà perché, costretto a camminare goffamente sulla terra inciampando, talvolta, sulle tue ali, o nascondendole per non essere deriso. E cosa può sognare un angelo che non può volare? Eri là steso per terra tra la polvere, ma nei tuoi sogni stavi volando, ad ali dispiegate, lasciandoti cullare dalle correnti dei venti. Sulle tue ali non più la polvere puzzolente, ma i raggi profumati del sole. Sognavi di volare.
Il suono di un clacson di un camion interruppe quel tuo sonno di sognatore. Apristi gli occhi e ti guardasti attorno tra l’incerto, il sorpreso, l’impaurito. Poi posasti lo sguardo su di me: “Pula*!”, dicesti, stiracchiandoti come se ti stessi scusando. Mi chinai e ti diedi una leggera carezza sulla guancia. Spalancasti gli occhi e tutto il tuo volto sorrise.
*è il modo amichevole con cui mi chiamano i bambini
Negrar 25 settembre 2023
A Giulia con gratitudine e simpatia