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Abbozzare il futuro

Abbozzare il futuro

Trovo molta difficoltà in me stesso, ma anche in altri vicino a me, a personalizzare la mia relazione con ognuno di questi bambini. Sento la tentazione di fuggire alla tensione esistenziale che si crea incontrandoli. Faccio fatica a compromettere la mia vita con la loro, a coinvolgermi e farmi cassa di risonanza del loro dolore e della loro fatica. Faccio fatica a sentirli nella loro unicità preziosissima e precaria. Faccio fatica ad essere spazio accogliete e di rispetto per il grido di sofferenza, solitudine e disagio che essi rappresentano. Ma sforzarmi di essere tutto questo (lo credo fortemente) è il modo che è dato a me di vivere in una forma eticamente responsabile, il modo in cui io posso vivere una profonda e realizzata vita spirituale. Realizzare il loro bene è lo scopo e il fine che io devo perseguire. Non fermarmi a vederne i limiti, ma cercare di superarli, di andare oltre. La mia indifferenza sarebbe una dichiarazione di complicità con il male che pesa su di loro. Costruire un’alleanza con loro, non solo mira a mobilitare il loro anelito di vita, la loro voglia di esprimersi al meglio, ma anche a vivificare le mie energie, a umanizzarle, a rendermi la miglior versione di me stesso.

Padre Manicardi di Bose in un suo articolo parla del “tutore di resilienza” come colui che aiuta le persone che vivono momenti di fatica o di abbandono, a ritrovare autostima e fiducia in se stessi favorendo l’adattamento a situazioni difficili e di esclusione o a trovare la forza per sopportarle. Ma soprattutto lo scopo, anche con questi ragazzini, sarebbe quello di permettere loro di abbozzare un progetto esistenziale, un’ipotesi di futuro rendendoli protagonisti del loro presente anziché semplici vittime. In definitiva un intervento che miri a suscitare resilienza in questi ragazzi ha lo scopo di risvegliare la loro umanità, la loro libertà e la loro soggettività. Ma per stimolare la resilienza in loro dobbiamo prima di tutto essere noi stessi capaci di combattere contro le credenze popolari che stigmatizzano questi ragazzini (li credono portatori di malocchio ecc.), le superstizioni (li accusano di stregoneria), i luoghi comuni e le dicerie dei benpensanti e di coloro che non vogliono vedere, asserviti come sono all’indifferenza priva di compassione dei loro cuori. Ne fanno dei colpevoli invece di stare a fianco a loro che sono le uniche vittime.

Così come tutti noi, ma in forma accentuata, anche loro hanno bisogno di qualcuno su cui fare affidamento, qualcuno che aiuti la loro vita a sbocciare, qualcuno che ti offra un’accoglienza gratuita, che metta in luce quanto di positivo è ancora in ombra della tua vita e ti permetta e ti accompagni ad essere te stesso. Hanno e tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno nelle cui mani porci e confidare. C’è bisogno per loro come per noi di trovare uno spazio dove le vere domande possano avere la libertà di essere formulate. Le domande sulle questioni fondamentale: quelle sulla gioia come sulla tristezza, quelle sul piacere come sul dolore, quelle nate nel giubilo come nello sconforto, nel desiderio come nel rifiuto.

Ma per vivere un reale affidamento c’è bisogno di uno spazio dove sia possibile vivere anche gesti che esprimano e diano vita a tale affidamento, quei gesti semplici, i più cari ed immediati: l’abbraccio, la carezza, il prendere per mano, il guardarsi negli occhi e vedersi. Grazie a questi gesti di affidamento, gesti attraverso i quali ci si sente accolti e custoditi, viene data la possibilità di accedere alla propria dignità, alla riuscita della propria vita. Quando qualcuno si schiera dalla nostra parte viene liberata la capacità di esprimere pienamente se stessi rimuovendo i gioghi e le catene del giudizio e della marginalità. Una mano protesa verso di noi rappresenta una chiamata che ci permette di sottrarci al caos che soffoca la nostra identità.

Vi sarete resi conto che palando di questi ragazzini si finisce a parlare di noi stessi, del senso della vita, del nostro bisogno di amore. Loro infatti rappresentano una specie di laboratorio dove la vita viene spogliata di tutti i suoi orpelli e trucchi e messa costantemente sotto un microscopio dove se ne colgono tutte le dimensioni più fragili e delicate. E più vere.